giovedì 13 ottobre 2011

Per non cadere dalla padella nella brace

La sconfitta del governo nel voto alla Camera sul Rendiconto 2010 potrebbe apparire come il suggello della fine dell'era berlusconiana. E' difficile pensare ad un semplice “incidente”, quando la mancata approvazione di un atto rilevante di politica economica - in un momento di gravissima emergenza come quello attuale - è determinata dall'assenza al momento del voto del Ministro dell'Economia, del quale sono ormai palesi i motivi di discordia col Presidente del Consiglio: al di là delle dichiarazioni di facciata, è poco probabile che quell'assenza sia stata puramente accidentale. Ugualmente, nel contesto generale non può esser creduta casuale l'assenza dal voto dell'ex ministro Scaiola, che è fra i capifila di quel gruppo di deputati dell'attuale maggioranza che auspicano un passo indietro di Berlusconi.
Il fatto accaduto è più grave degli altri “incidenti” che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno fatto mancare la maggioranza al governo: infatti, finora si era trattato di singoli provvedimenti di natura marginale, questa volta la mancata approvazione riguarda un atto di importanza istituzionale.
La sensibilità democratica avrebbe voluto che il Presidente del Consiglio si fosse affrettato a presentare le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica, il quale a sua volta avrebbe potuto concedere al governo la riprova, invitandolo a presentarsi alle Camere per chiedere la fiducia.
Il voto di fiducia probabilmente ci sarà comunque, pur senza passare per la presentazione delle dimissioni, e cioè come iniziativa propria del governo. Ed è qui che si aprono scenari interessanti.
Il governo, pur spesso soccombente in votazioni di routine, è però sempre riuscito a vedersi confermata la fiducia, sia pure con maggioranze risicate (certo, mai tanto risicate quanto lo era quella, al Senato, del precedente governo Prodi). Ciò è accaduto anche di recente, ed in questo senso è da inquadrare, senza qui fare commenti di merito, la stessa fiducia confermata al ministro Romano.
Tuttavia ci sono segnali che fanno dubitare che questa capacità di serrare le fila sia ancora un dato concreto. L'azione del governo è da tempo praticamente inesistente, non vi è capacità di proposta, non vi sono iniziative, molti dei singoli ministri sembrano ormai aver tirato i remi in barca in attesa degli eventi, senza parlare del Presidente del Consiglio, che appare incredibilmente il più sfiduciato di tutti verso sé stesso nonostante i voti di fiducia parlamentari che è riuscito ancora a raccogliere.
Il crescente malumore nella già ristretta maggioranza, il timore che Berlusconi conduca alla rovina, assieme a sé stesso, tante private fortune parlamentari se le prossime elezioni dovessero svolgersi ancora con lui candidato premier, potrebbero – nel contesto attuale – portare alla sorpresa di una bocciatura del governo in occasione del prossimo voto di fiducia.
Più che il frutto dell'azione, che appare sempre più impotente, dell'opposizione (per la quale in realtà si potrebbero aprire scenari paurosi, quando non avrà più di fronte a sé un Berlusconi da combattere, e dovrà quindi venire allo scoperto con idee e proposte proprie, che forse non ha), un eventuale voto di sfiducia potrebbe essere il primo passo di una strategia di difesa e di conservazione dello stesso centrodestra, che altrimenti,  in queste condizioni, sarebbe probabilmente candidato ad una rovinosa sconfitta elettorale.
Si tratta di vedere se i termini di questo scenario sono già stati definiti dagli attuali protagonisti della scena politica: è evidente che per un programma di questo genere, la caduta del governo Berlusconi non dovrebbe portare ad elezioni immediate, e nemmeno nella primavera del 2012: troppo poco il tempo per evitare, sul voto dei cittadini, le conseguenze del disastroso governo ancora in carica. Non per niente, questa delle elezioni rapide è la tesi cara - oltre che, a parole, allo stesso Presidente del consiglio, ma sempre più a titolo personale - soprattutto alla maggioranza del PD ed alla sinistra in genere: le "elezioni subito" consentirebbero loro una vittoria senza colpo ferire, anche senza idee e proposte da esporre; sarebbe sufficiente, per vincere, la pessima prova di sé che l'attuale governo ed il suo presidente hanno dato finora. Questa soluzione finirebbe per  perpetuare quel che è sempre accaduto dal 1994 ad oggi, con i risultati che abbiamo visto e che vediamo: ad ogni elezione, si sono alternati regolarmente al governo una volta Berlusconi (1994-2001-2008) e la volta successiva (1996-2006) i superstiti della prima repubblica ( D'Alema, Prodi, Rosy Bindi ecc.) . Ognuno, dal 1994 ad oggi, quando ha vinto, non ci è riuscito per la forza delle proprie idee, ma sfruttando passivamente la reazione dell'elettorato alla pessima prova fornita dal governo precedente, di qualunque colore esso fosse stato. E così sarebbe, con tutta probabilità, in occasione di eventuali elezioni a primavera 2012, dalle quali nascerebbe probabilmente un nuovo governo di centrosinistra tipo "ammucchiata" tra Fini, Casini, il PD, Di Pietro e Vendola il quale poi, per l'evidente incompatibilità delle sue componenti, come la famigerata "Unione" di Prodi (2006-2008) andrebbe subito in affanno e condurrebbe a nuove elezioni anticipate, che probabilmente  aprirebbero le porte (ormai lo sappiamo) ad un altro  governo Berlusconi, se questi sarà rimasto in politica. E così via ... finchè morte non ci separi (da tutti loro).
Forse, chi non vuol cadere dalla padella nella brace, o vuole almeno friggere in una  padella nuova  dopo aver cambiato anche l'olio, immagina, dopo la caduta di Berlusconi (ora, fra qualche settimana o al massimo qualche mese) un governo di decantazione con qualche connotazione tecnica che rassicuri soprattutto i mercati, dei quali colpevolmente in questo momento – al di là delle parole – tutti si disinteressano, compresa l'opposizione di centro e di sinistra, che non ha proposte da fare. Il nuovo governo potrebbe avere, da un lato, il compito di assestare in modo conveniente la manovra economica, avendo come punto di riferimento la lettera di agosto della BCE (e quindi coloro che non ne condividono i contenuti resterebbero all'opposizione) e, dall'altro, di mettere a punto una nuova legge elettorale che, togliendo di mezzo l'obbrobrio attuale (sperimentato per la prima volta, ricordiamolo, con la legge elettorale della Regione Toscana, a suo tempo concordata tra Martini e Verdini...), raggiunga un ragionevole compromesso tra le varie ipotesi che circolano, rendendo così inutile il referendum. In realtà, è difficile ipotizzare una sana legge elettorale che non sia il frutto di un compromesso tra le diverse opzioni auspicate dalle forze politiche che saranno le parti in causa.
Una volta conclusa questa operazione, si potrebbe andare alle elezioni alla scadenza naturale della primavera 2013, contando che nel frattempo tutto ciò che già si muove nei due fronti contrapposti attuali possa portare ad una scomposizione e ricomposizione su assetti diversi, ma soprattutto con una classe politica che, a prescindere dall'età, sia in grado di esprimere idee e non solo di occupare il potere come è stato con Berlusconi, Prodi, D'Alema, Bossi, Casini, Fini, Bindi e tutti gli altri loro comprimari  dal 1994 ad oggi.

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