martedì 8 novembre 2011

Il Faust di Sokurov

Lo spettatore di normale cultura deve sapere in anticipo che, all'uscita della sala di proiezione, dovrà constatare di non averci capito molto di questo film che ha vinto il Leone d'oro all'ultima Mostra di Venezia. Tuttavia egli continuerà a ripensare a lungo alla sequenza delle immagini, interrogandosi sul loro significato. Quelle immagini, nella loro ammorbante tonalità che sfuma sul grigio-marrone-verdognolo, non le dimenticherà facilmente. Il Faust di Sukorov è, infatti, un film “indimenticabile”, come indimenticabile è l'atmosfera che si respira, gli odori che si avvertono. Si avvertono - l'atmosfera e gli odori - non in senso figurato: incredibilmente, pare di esserci in mezzo. Il fetore, la fatiscenza, il miserevole polverume scenico, il ciarpame putrescente nel quale avanzano i personaggi, facendosi strada a fatica tra oggetti impensati, fuori uso da secoli e disordinatamente accatastati, avvolgono lo spettatore fin dall'inizio e lo accompagnano per le due ore ed un quarto della proiezione.
Il collegamento con l'opera goethiana è praticamente inesistente, se si eccettua il nome del protagonista ed il suo scellerato patto sottoscritto col sangue. Il dottor Faust è un povero disperato, acculturato ma buono a nulla, alla ricerca di un senso da dare alla propria vita e soprattuto alla ricerca di un modo per vivere (di un modo materiale: alla ricerca, cioè, dei quattrini che non ha per tirare avanti) e sempre sensibile al fascino femminile che troverà – irresistibile - in Margareta, splendida bellezza slava dalla bocca come un bocciòlo di rosa, con la quale troverà la morte. Dopo la quale, ovviamente, l'avventura continua in compagnia del diavolo col quale ha fatto coppia fissa, in un rapporto nel quale è Mefistofele a dipendere da Faust: il diavolo, nel film di Sokurov, è per l'appunto un povero diavolo piagnucoloso, alla fine sommerso da una montagna di detriti e di pietre dal Dottor Faust che così lo rimuove e poi si allontana, in un crepuscolare scenario apocalittico, e bellissimo, verso un immenso ghiacciaio - anch'esso polveroso - che risale la montagna.
Il Faust di Goethe è un riferimento lontano: il film di Sokurov sembra essenzialmente una ben riuscita esibizione accademica di arte cinematografica, dove è da apprezzare soprattutto la forma, ridotta a mero pretesto strumentale la sostanza.  
Un film da vedere, sì, ma non necessariamente da capire. O meglio: un film da vedere una seconda volta, senza farsi cogliere di sorpresa come la prima.

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