lunedì 30 gennaio 2012

Oscar Luigi Scalfaro, un Presidente da capire.

Oscar Luigi Scalfaro ha attraversato la storia della nostra Repubblica ed ora che a 93 anni se n'è andato lascia una scia di giudizi contrastanti. Se si guarda alla sua lunga vita politica fin dall'inizio, e non solo a quella dell'ultimo periodo, appare singolare che sia la sinistra a tesserne gli elogi e la destra a non nascondere il proprio puntiglioso giudizio critico.
Nel '46 il ventottenne Scalfaro fu uno dei padri costituenti, con De Gasperi, Togliatti, Nenni, Moro, La Malfa, Saragat, La Pira. Lo fu sul fronte cattolico, moderato, centrista.
Nei primi anni della Repubblica, Scalfaro fu al fianco di Mario Scelba, icona del dileggio della sinistra, nonostante che, durante il ventennio fascista,  Mussolini avesse eretto a capoluogo di provincia in Sicilia il villaggio di Enna, anziché la città di Caltagirone, proprio perchè quest'ultima era da punire essendo il covo di pericolosi sovversivi antifascisti: Don Luigi Sturzo e Mario Scelba, appunto.
Dopo la fase centrista del dopoguerra,  Scalfaro si oppose alla svolta a sinistra di Moro e Fanfani al congresso della DC di Napoli nel 1962 che portò al centrosinistra, e rimase sdegnosamente isolato nel partito per lunghi anni, raramente presente nei numerosi governi dal 1963 in poi. Fu sorprendentemente ripescato dall'oblio nel 1983, quando il primo governo Craxi lo vide ministro degli Interni. Fu un caso: la sua presenza fino all'ultimo non era prevista. Quando il leader socialista aveva completato la lista da presentare al Presidente della Repubblica, l'ala moderata della DC lamentò di essere poco rappresentata ed allora, su indicazione di Forlani, si pose rimedio con la chiamata di Oscar Luigi Scalfaro nel ruolo di ministro dell'Interno, che un tempo era stato di Mario Scelba. In questo ruolo, nel quale egli eccelse, è da ricordare, per illustrare l'uomo, l'incipit delle sue dichiarazioni che ufficializzavano i risultati delle elezioni per il Parlamento europeo del 1984, quando - per la prima ed unica volta - il PCI superò la DC, anche sull'onda emotiva della morte di Berlinguer in piena campagna elettorale. Il vecchio anticomunista, al quale quel risultato doveva pesare non poco, iniziò dicendo: “In un Paese democratico le elezioni le vince chi ottiene più voti; in Italia le elezioni europee le ha quindi vinte il PCI.”
Più tardi, quando la Prima Repubblica già vacillava sotto le picconate del collega di partito Cossiga, Presidente della Repubblica, Scalfaro si fece difensore degli assetti istituzionali nati dalla Costituzione del 1946 e fu protagonista di appassionati interventi parlamentari che gli valsero l'apprezzamento, altrimenti improbabile – per lui cattolico fervente e “papalino” – dei radicali di Pannella che, dopo le elezioni del 1992, ne sponsorizzarono l'elezione alla presidenza della Camera dei Deputati, nella quale egli aveva militato ininterrottamente per oltre quarantacinque anni.
In occasione delle elezioni presidenziali del 1992, poche settimane dopo l'insediamento delle nuove Camere, la classe politica già prossima al disastro che si sarebbe compiuto di lì a poco con “tangentopoli”, nei suoi sussulti preagonici regalò al Paese una lunga serie di votazioni senza costrutto nelle quali i vari candidati venivano l'un dopo l'altro arrostiti (Forlani, Andreotti, Vassalli, Valiani). L'attentato di Capaci costrinse il Parlamento ad uscire dall'impasse e le intenzioni di voto si concentrarono su due esponenti prestigiosi e stimati: Giovanni Spadolini, repubblicano, già Presidente del Consiglio e Presidente del Senato, e Oscar Luigi Scalfaro, democristiano appena eletto Presidente della Camera. La situazione generale del Paese richiedeva una scelta del Presidente della Repubblica su base ampia, con una convergenza di tutte le maggiori forze politiche e quindi anche della sinistra. Con un scelta che a molti parve sorprendente, il PDS (erede del PCI e padre dei DS,  ora PD) decise di appoggiare la candidatura del vecchio cattolico anticomunista e scelbiano Oscar Luigi Scalfaro, che quindi fu eletto con una larghissima maggioranza. Forse la  politica della prima Repubblica, che si sentiva ormai braccata, pensò che avrebbe avuto miglior gioco avendo al Quirinale  un politico di vecchio e lungo corso, ad essa più simile (anche se un po' rompiscatole), piuttosto che un soggetto  "sui generis" come Spadolini,  che veniva da esperienze di studio, giornalistiche ed universitarie e che era approdato alla politica in età ormai matura senza farvisi omologare del tutto, nonostante le esperienze di ministro, di Segretario del PRI, di Presidente del Consiglio e di Presidente del Senato. 
Nella sua funzione di Presidente della Repubblica, Scalfaro si trovò ad affrontare uno dei periodi più critici del Paese (come del resto lo è anche l'attuale), con l'emergenza economica che premeva, la politica che crollava sotto i colpi di tangentopoli e con le spinte verso assetti istituzionali radicalmente diversi da quelli sui quali era nata nel 1946 la Repubblica Italiana.
In questo contesto, nel 1994 Berlusconi vinse le elezioni anticipate (per la prima volta con un sistema “maggioritario”), sconfiggendo a sorpresa la coalizione di sinistra che già si sentiva sicura vincitrice e che era guidata dal segretario del PDS Occhetto (non a caso definito dal preveggente ex Presidente della Repubblica Cossiga uno “zombi coi baffi”). Il potere berlusconiano mostrò subito le proprie intenzioni, del resto anticipate nella campagna elettorale, intenzioni mosse da una palese insofferenza per il regime parlamentare nato dalla Costituzione, del quale si cercava il superamento nella direzione di maggiori poteri da attribuire al Presidente del consiglio in un contesto “bipolare”.
Si trattava di intendimenti che stravolgevano la Repubblica nata con la Costituzione della quale il Presidente Scalfaro era stato convinto ed appassionato co-artefice. E' naturale che egli ne fosse allarmato. Difensore della Costituzione, quale è tenuto ad essere il Presidente della Repubblica, Scalfaro si sentì in dovere di “mettersi di traverso”. Non era una posizione di parte nel senso deteriore del termine: probabilmente Scalfaro avvertiva con sincerità come proprio inderogabile dovere quello di difendere gli assetti istituzionali stabiliti dalla Costituzione, nel rispetto del giuramento pronunciato al momento dell'elezione,  e vedeva nelle manie di protagonismo di Berlusconi una seria e grave minaccia da sventare a tutti i costi. Anche al costo di apparire, e magari anche di essere, un Presidente "di parte".
Da qui nacquero alcune posizioni ritenute faziose, quelle posizioni che tutt'oggi il centrodestra contesta ad uno Scalfaro ormai tra le braccia di Dio.
Giudizio ingeneroso quello del centrodestra: se Oscar Luigi Scalfaro fu “di parte”, lo fu - da quel gran "conservatore" che era e che era sempre stato - per il puntiglioso assolvimento del suo dovere di "conservare" integra quella Costituzione che lui stesso aveva contribuito a far nascere, e non certo per favorire una fazione politica – tra l'altro quella stessa che lui aveva fieramente combattuto per tutta la vita.
Si potrebbe dire che Scalfaro se n'è andato incompreso: non lo ha capito chi ingenerosamente gli rinnova anche in punto di morte la propria ostilità, ma neppure chi oggi ne tesse le lodi, avendone equivocato le ultime posizioni politiche. E' questa, forse, la sorte dei galantuomini.

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