giovedì 19 gennaio 2012

Sistemi elettorali

Nel suo intervento sul Corriere della Sera del 19 gennaio, il Prof. Panebianco richiama l'attenzione su un aspetto interessante ma finora forse poco approfondito nell'ambito del dibattito sulla riforma della legge elettorale.
Nel dualismo tra sistema proporzionale e sistema maggioritario vi sarebbe questa conseguenza da mettere in conto: che il sistema maggioritario inviterebbe le ali “estreme”, di destra e di sinistra, a venire a patti con una coalizione (quella rispettivamente più prossima), poiché altrimenti esse non riuscirebbero ad avere una propria autonoma rappresentanza parlamentare, restando schiacciate tra i due blocchi principali (nell'attuale Parlamento, ad esempio, la sinistra radicale non è rappresentata, pur essendo ben presente nella realtà sociale del Paese, perché alle elezioni del 2008 il PD decise di accettare come alleato solo l'IDV). Parallelamente, il sistema maggioritario bipolare rende necessario anche per le coalizioni dominanti e concorrenti agganciare la “propria” estrema poiché l'apporto di essa - in un contesto di lotta all'ultimo voto quale è di solito un'elezione col sistema maggioritario – è decisivo per la vittoria. Il convergere di queste due convenienze comporta quindi una “assimilazione” delle ali estreme a ciascuna delle due coalizioni, col risultato ragionevole di vederne attenuata l'eccessivita radicalità, e – come assolvimento di un obbligo di lealtà scaturente dall'accordo col quale ci si è presentati agli elettori – anche di un'auspicabile stabilità dell'esecutivo cui darà vita il vincitore. Il consolidarsi di un sistema siffatto, con due grandi aggregati contrappposti senza frammentazioni intermedie, con un seguito elettorale quasi equivalente, favorirebbe altresì la possibilità di una corretta ed utile alternanza al governo, di elezione in elezione.
Secondo il Prof. Panebianco, diverso è invece il panorama offerto dal sistema proporzionale (puro o, come alcuni auspicano, con un “sbarramento” che limiti la presenza in parlamento di troppo piccoli partiti). In questo caso infatti, all'opposto di quel che di solito accade col sistema maggioritario, le ali estreme non hanno utilità ad abdicare alle proprie posizioni più radicali per allearsi col gruppo più forte a loro meno distante, poiché il sistema proporzionale permetterebbe loro di andare comunque in parlamento (in caso di “sbarramento”, ovviamente, solo nel caso in cui lo superassero) e lì avrebbero le mani libere. Così però – come effettivamente accadde nella cosiddetta Prima Repubblica – si scivolerebbe presto in un sistema bloccato nel quale le ali estreme sarebbero destinate all'opposizione e le forze moderate – ciascuna delle quali non forte abbastanza da governare da sola - dovrebbero mettere in piedi un'alleanza forzata tra di loro, che renderebbe poco stabile l'esecutivo. Il consolidarsi di questa situazione, renderebbe altresì difficilissima una alternanza fintanto che uno dei due raggruppamenti non riuscisse – ove vi riuscisse – a fagocitare l'ala estrema “dalla sua parte”.
Gli scenari prefigurati per le due distinte ipotesi di sistema elettorale sono sicuramente verosimili, ed in gran parte si sono anche effettivamente realizzati quando ciascuno dei due è stato in vigore. Peraltro, mette conto ricordare che il ventennio sostanzialmente maggioritario, ed ancora in corso, che si iniziò con le elezioni del 1994, ha prodotto sì alternanza (ad ogni elezione ha finora prevalso la precedente opposizione, ma forse ciò, più che dal sistema elettorale, è dipeso dalla qualità dei governanti che si sono succeduti ...) ma in quanto a stabilità, esso vide, quasi all'inizio, il “ribaltone” della Lega che scalzò Berlusconi dopo pochi mesi dalla risicata vittoria, poi il proseguimento della legislatura fino al 1996 con un governo (Dini) che non era espressione delle elezioni del 1994; successivamente, la vittoria del centrosinistra nel 1996 dette l'avvio a ben tre diversi governi con tre diversi premier fino al 2001, con maggioranze diverse da quella iniziale dopo la fuoriuscita di Bertinotti e l'ingresso di Mastella. Il successivo quinquennio 2001-2006 fu apparentemente stabile, tra il Governo Berlusconi I e Berlusconi II: a fine corsa molti dei ministri più importanti erano stati cambiati (Interni, Esteri, Economia), e non una volta sola. Il governo Prodi del 2006 è caduto dopo meno di due anni ed il governo Berlusconi del 2008 è caduto a fine 2011. In quanto a stabilità, pare che il sistema maggioritario abbia ampi margine di miglioramento.
Tornando all'analisi del Prof. Panebianco, questa sembra privilegiare “solo” due precise esigenze: quella della stabilità dell'esecutivo e quella dell'alternanza. Certo, si tratta di due virtù fondamentali per una sana democrazia ed ogni sistema elettorale dovrebbe tenerne gran conto. Ma si tratta anche di due esigenze che, se si vuole, sarebbe facilissimo raggiungere: basterebbe ricorrere ad una “dittatura elettiva”: si sceglie con regolari elezioni a suffragio universale un dittatore che abbia il potere di fare quello che vuole (salvo modificare il sistema) per cinque anni. Poi si rivota, e si rielegge lo stesso dittatore, se ci è piaciuto, oppure un altro. Stabilità ed alternanza sarebbero assicurate. Ovviamente questo è un paradosso e nessuno pensa che il Prof. Panebianco coltivi queste teorie elettorali.
Il paradosso però serve per mettere in evidenza che in una democrazia parlamentare oltre all'obbiettivo della stabilità dell'esecutivo e dell'alternanza al governo di forze politiche diverse, ve ne è anche un altro che deve essere perseguito e che forse viene ancora prima: la corretta rappresentatività – anche se non necessariamente con una assoluta proporzionalità matematica - di tutte le opinioni e posizioni presenti nel Paese. Questo principio, dovendo correlarsi agli altri due giustamente messi in rilievo dal Prof Panebianco, dovrà subire anch'esso qualche piccola mutilazione (es: soglia minima di sbarramento per accedere all'attribuzione dei seggi). Si dovrebbe cioè ricercare un sistema elettorale che permetta, con reciproci sacrifici dei tre principi, la convivenza, assieme alla stabilità ed all'alternanza, anche della giusta rappresentanza della multiforme espressione del corpo sociale.

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