martedì 13 novembre 2012

Cinque sfumature di grigio

Il confronto su Sky tra i candidati alle primarie del centrosinistra non è parso un granché. I cinque contendenti sono sembrati un po' rigidi ed impalati, attenti soprattutto a seguire diligentemente, con dedizione curiale, la liturgia tradizionale di quella parte politica. Anche Renzi, che pure ha lanciato qualche fuochetto pirotecnico, ha tenuto un atteggiamento più sobrio e misurato del solito. E' probabile che Tabacci, Puppato, Renzi, Vendola e Bersani  siano stati condizionati dall'esigenza di dare agli spettatori un'immagine il più possibile unitaria(o forse si siano accordati preventivamente in tal senso), visto che è proprio la previsione della mancanza di coesione - alla luce delle precedenti esperienze degli effimeri governi Prodi - uno dei più rilevanti dilemmi dell'elettore ancora incerto.
Pur coprendo un'area di opinione abbastanza ampia, dall'ex berlusconiano Tabacci a Vendola,  i cinque hanno cercato di attenuare le differenze finendo quindi per confluire su una linea certo non univoca, ma comunque assai moderata almeno rispetto alle attese. Sintomatico  che i due più a sinistra (Vendola e Bersani), chiamati ad indicare una figura di riferimento, si siano richiamati a due personalità ecclesiali, un Cardinale ed un Papa. Puppato, anch'essa caratterizzata a sinistra con toni a volte un po' settari, ha fatto il nome di due donne ex parlamentari - una democristiana, Tina Anselmi, l'altra comunista, Nilde Iotti - entrambe cattoliche, come cattolici (ma non ecclesiali ) sono stati i riferimenti di Tabacci a De Gasperi e a Giovanni Marcora, punto di riferimento, quest'ultimo, dei democristiani lombardi della sua generazione, quand'egli era giovane.
Sui contenuti e sui programmi, il desiderio di piacere a tutti ha annacquato le risposte dei candidati e qui il grigiore ha raggiunto i livelli massimi, anche se ognuno ha proposto una propria angolatura dei singoli problemi. Ma si sa che ormai in Italia la politica non si occupa più di programmi, ma di propaganda e di posizionamenti tattici. Un po' più vivace la posizione sul "caso Marchionne", ma solo perchè la politica italiana -  come si diceva: priva di idee -  si scalda solo quando può assumere una persona - che già esiste e quindi non richiede lo sforzo di crearla - per ruotare intorno ad essa il panegirico o l'aggressione. Questo è meno faticoso di elaborare un'opinione originale ed efficace su un  problema reale.      
Più interessanti le risposte alle domande finali sulla coalizione che ciascuno dei cinque preferirebbe guidare se vincesse le primarie e le elezioni successive. La domanda, di per sé, poteva apparire oziosa, dal momento che i cinque si contendono l'investitura in "primarie di coalizione"  e quindi la coalizione dovrebbe essere quella nel cui perimetro si colloca la propria candidatura. Se uno di loro non gradisse la presenza nella coalizione di una delle forze delle quali sono espressione gli altri quattro, l'asino cadrebbe subito: costui non avrebbe titolo di concorrere alle "primarie", se è pronto a rispettare la coalizione solo a condizione che vinca lui,  o un candidato affine. 
La questione rappresenta un nodo particolarmente intricato. Nelle settimane scorse era parso che Vendola avesse qualche dubbio ad appoggiare un governo presieduto da Renzi ed una analoga perplessità, pur non espressa,  poteva essere immaginata anche in senso opposto.  Nel PD, poi, si ipotizzava che l'eventuale prevalere del Sindaco di Firenze, pur dello stesso partito, potesse causare una levata di scudi  di alcuni anziani ma ancora autorevoli esponenti: D'Alema aveva dichiarato apertamente che in caso di  vittoria di Renzi alle primarie avrebbe "dato battaglia". E sarebbe poi singolare immaginare una Rosy Bindi che accettasse un ministero sotto la guida di Renzi. Ma qui i candidati sono stati abili ed hanno circoscritto i propri distinguo all'eventuale rapporto con una forza extra-primarie come l'UDC,  chi per escluderla decisamente (Renzi e Vendola) o implicitamente (Puppato), chi  per accoglierla (Bersani), chi per fare il pesce in barile (Tabacci).
L'esito delle primarie del centrosinistra vedrà probabilmente prevalere Bersani (magari dopo un ballottaggio con Renzi), poichè l'apparato avrà il suo peso e gli esterni al PD disposti a votare Renzi avranno qualche difficoltà procedurale per esprimersi ai seggi, ma soprattutto qualche remora legata al desiderio di non assumere impegni, neppure morali, sullo schieramento da votare alle elezioni politiche qualora il centrosinistra non fosse guidato dal sindaco di Firenze, nell'ipotesi che nel frattempo l'offerta politica potesse arricchirsi di qualcosa di nuovo.   In caso di ballottaggio, poi, la naturale riduzione dei votanti  al secondo turno si tradurrà in un vantaggio per Bersani. 
Alle elezioni, data l'attuale offerta politica, pare inevitabile che pevalga la coalizione di centrosinistra guidata da Bersani ed è altrettanto probabile che essa però non raggiunga una forza elettorale tale da far scattare il premio di maggioranza (sul quale peraltro ancora si dibatte). In questo caso il risultato sarebbe certo: governo centrosinistra-UDC guidato da Bersani,  con Casini che, in cambio dell'appoggio determinante al governo  da parte dell'UDC ed alla "rinuncia" alla conferma di Monti come premier, verrebbe eletto Presidente della Repubblica dalla stessa maggioranza governativa. E' questo del resto l'obbiettivo evidente del leader dell'UDC. Ed è per questo che Casini ha votato col vecchio centrodestra per un premio di maggioranza alto e quindi difficilmente raggiungibile al momento attuale data la frammentazione del prevedibile consenso elettorale.  Infatti, se la coalizione di centrosinistra (PD-SEL-API-PSI) ottenesse il premio,  raggiungerebbe la maggioranza dei seggi in via autonoma e l'UDC non sarebbe decisiva. E se l'UDC non sarà decisiva Casini non avrà corrispettivi da offrire per chiedere in cambio il  Quirinale per sé stesso (in questo caso il "ticket" sarebbe:  Monti Presidente della Repubblica e Bersani Presidente del Consiglio).  
Ma si ha l'impressione che i giochi non siano ancora fatti del tutto.
La scomparsa del PDL ha lasciato orfani di una casa molti elettori che, pur ormai nauseati dal berlusconismo, neppure sono propensi a votare per il centrosinistra. Se nulla si muove, finiranno per astenersi (nei sondaggi ora sono catalogati tra gli "indecisi" e come tali sono forse il primo partito), ed allora si avvererà il successo del centrosinistra. Se invece - ma il tempo scarseggia - qualcuno creerà una nuova casa, più presentabile del PDL, allora i giochi potrebbero riaprirsi: non certo per un successo maggioritario di quest'area moderata ancora da creare,  ma perché essa potrebbe assorbire consensi almeno tali da far mancare una maggioranza alla coalizione in itinere  "centrosinistra-UDC".  E qui allora non resterebbe spazio che per un "Monti bis" con appoggio bipartisan e con un esponente del centrosinistra al Quirinale, dato che quest'ultimo schieramento, che avrà probabilmente la maggioranza relativa, non potrà restare del tutto a bocca asciutta . Questa è l'ipotesi peggiore per le ambizioni presidenziali di Casini.

Se invece le primarie del centrosinistra le vincesse Renzi ...

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