lunedì 17 dicembre 2012

"Eredità" di Lilli Gruber - Ed. Rizzoli


Il recente libro di Lilli Gruber è una storia romanzata di un periodo tormentato del Tirolo meridionale, il territorio di lingua tedesca compreso tra il Brennero e la Chiusa di Salorno.  Il cuore del romanzo è il periodo che parte dalla prima guerra mondiale, con la disfatta dell'impero austrungarico ed il passaggio di quelle terre all'Italia, e attraversa poi i tragici anni del fascismo e del nazismo, fino al secondo conflitto mondiale. Si tratta di una storia romanzata perché l'autrice prende spunto dalla storia della sua famiglia di parte materna, che era una delle più importanti di quella zona, per tracciare, col segno delle vicende di casa, anche quelle della sua terra, la “bassa atesina” posta al confine del mondo tedesco con quello italiano, il cui passaggio fisico, linguistico e culturale è dato dalla porta naturale della Chiusa di Salorno, il varco tra le montagne dopo Mezzocorona e prima Egna-Neumarkt, attraverso il quale passano, stretti a pochi metri di distanza, l'Adige, la ferrovia,  la statale e l'autostrada del Brennero.
La narrazione ha come fonte principale la vita e le testimonianze della bisnonna della Gruber, Rosa Tiefenthaler (cognome evocativo: letteralmente "della bassa valle"; e quella terra è chiamata appunto “bassa atesina” cioè bassa valle dell'Adige). Rosa è l'esponente esemplare di quel mondo asburgico geograficamente lontano dal centro dell'Impero ma completamente ed intimamente connaturato con esso. Una donna forte come le donne di montagna, intelligente, colta grazie anche allo stato sociale elevato della sua famiglia, moderna per tanti versi ma strettamente legata alla sua “Heimat” e quindi a tutto ciò che caratterizza questo sentimento, dal senso della comunità e della famiglia, all'attaccamento all'imperatore Francesco Giuseppe,  ad una religiosità connaturata, ma non per questo meno sincera e profonda.
La caduta del vecchio mondo e l'occupazione italiana vivono, silenziose e dolorose, nelle lacerazioni interiori di Rosa Tiefenthaler e nella sua capacità (che è solo delle donne) di tenerle racchiuse in sé a difesa della famiglia. La famiglia - una grande, commovente famiglia - è il cuore del romanzo storico; la famiglia e le radici, l' “Heimat” efficacemente descritta come qualcosa di più del concetto nostro di Patria: territorio natio, popolo del quale siamo espressione, usi e abitudini, paesaggi familiari, cultura, modi di vivere, religiosità, quel comune sentire, un'appartenenza, la zuppa di vino ed il Kaiserschmarren, un complesso di elementi umani fusi in un crogiuolo dal quale esce una lega che permea fortemente il Tirolo meridionale come tutto il mondo tedesco. Il suffisso “-heim” che ricorre in tanti toponimi e vocabili tedeschi, è un'applicazione del concetto lato di “Heimat”.
Sul piano storico, il merito dell'autrice è quello di aver descritto molto bene il rapporto tra i sudtirolesi, il fascismo ed il nazismo. Rapporto che nel libro viene spiegato partendo appunto dal concetto di “Heimat” proprio di un popolo accesamente antifascista perché oppresso ed occupato dagli italiani e perché testimone diretto delle nefandezze del regime; ma talora anche -  contemporaneamente, e quindi sorprendentemente per noi italiani - filonazista, nella speranza della riunificazione sotto l'egida del “Deutschtum” (la “germanicità”), una speranza coltivata anche a causa di informazioni frammentarie, errate e comunque lontane, sulle altre nefandezze di oltre Brennero. L'Anschluss hitleriano col quale la Germania si era annessa l'Austria, e quindi anche il Tirolo settentrionale stretto attorno ad Innsbruck, fu il seme che dette vita all'illusoria speranza di tanti sudtirolesi di un secondo Anschluss, quello che avrebbe dovuto riunire nel mondo tedesco anche il loro Tirolo passato all'Italia fascista, quello che aveva per capoluogo Bolzano. Ma quando Hitler scese in Italia per la visita a Mussolini, il suo treno passò veloce e a finestrini chiusi attraverso il Sudtirolo, lasciando con un palmo di naso i tanti che si erano radunati nelle stazioni e che si attendevano un fuhrer che si fermasse e si mostrasse, benedicente, per promettere la prossima riunificazione. Hitler aveva più a cuore di tenersi buono l'alleato Mussolini delle aspirazioni irredentistiche dei tirolesi. Ma in molti la speranza fu dura a morire; tra questi la stessa figlia minore di Rosa Tiefenthaler, Hella.

Parlando di queste vicende storiche, il lettore italiano non può che guardare con rispetto e vicinanza alla sorte che toccò al popolo tirolese: l'occupazione, l'imposizione linguistica, l'italianizzazione dei cognomi col paradosso di portare i fratelli a ritrovarsi con cognomi italianizzati diversi a seconda di chi ne aveva curato la “traduzione”, per finire con le “opzioni”, regola agghiacciante con la quale la Germania e l'Italia avevano concordato - ormai alla vigilia della disfatta nella guerra – che i tirolesi scegliessero: restare nella loro terra, accettando l'italianizzazione, o restare tedeschi, lasciando però lì tutto quel che avevano per migrare altrove – e chissà dove: Polonia, Romania, Ungheria - sotto l'egida del Reich. Trovata letteralmente diabolica (dal greco dia-ballo, separare. Il diavolo: colui che separa e divide l'uomo dalla sua radice spirituale). Ma per l'evolversi degli eventi  bellici le "Optionen" ebbero un'applicazione limitata.

E del resto dalla stretta porta di Salorno  non son passati solo soldati e guerrieri armati, ma  - in un senso e nell'altro - anche il meglio dei nostri due mondi. Vi sono passati Goethe e Mozart, non solo Hitler. Vi è passato il rinascimento italiano ed i suoi splendori, la grande musica tedesca ed il pensiero di filosofi immortali. Un'apertura tra le montagne - non una "Chiusa"! -  verso la quale si accorre da sud e da nord per incontrarsi in amicizia e far festa.        


Nella narrazione di Lilli Gruber vi è, da un lato, la partecipazione alla tragedia del Sud Tirolo italianizzato, e quindi l'ancoraggio alle sue radici ed alla sua "eredità" (sebbene l'autrice precisi di non sentirsi né italiana né tedesca, ma europea) e, dall'altro, l'assenza di ogni richiamo retorico alle posizioni nostalgiche, verso le quali traspare anzi un po' di fastidio.

Un libro molto bello ed istruttivo che - tra le altre cose - conferma quante conseguenze nefande e spesso irrimediabili porti con sé la pretesa di violentare un popolo nella sua intima essenza: il territorio, la lingua, il senso della propria comunità, la cultura. 

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