giovedì 28 febbraio 2013

Matrimoni politici imprevedibili e talora ineludibili


L'esito delle elezioni politiche ha visto cadere la prospettiva di governo autonomo del centrosinistra ed ora sta affiorando un convergente favore dei sostenitori del PD e del M5S per un accordo tra questi due gruppi parlamentari. Sia pure limitato per ora alla base elettorale, almeno per quanto riguarda il M5S, l'imprevisto colpo di fulmine dopo mesi di vituperi reciproci è scoccato con l'apertura avanzata da Bersani. Come prima ipotesi si poteva dar per certo che prima di esplicitare ufficialmente una simile e rilevante posizione vi fosse stato  un qualche preventivo approccio di esito almeno non negativo con l'interlocutore. Così si credeva che operassero gli statisti e che così fosse accaduto, ma evidentemente, visti gli insulti che Bersani ha subito ricevuto in risposta, ci si sbagliava. Non c'era stato nessun sondaggio preventivo. Ma è possibile che il capo del centrosinistra abbia parlato di prospettive politiche come possono farlo i suoi compaesani al tavolo del tressette della Casa del Popolo di Bettola: d'istinto e di pancia, un po' a vanvera, senza preoccuparsi delle reazioni? Potrebbero esservi quindi altre spiegazioni che rendano maggior onore almeno alla furbizia di Bersani, se non alle sue doti di statista. La prima è che la replica umiliante che egli ha ricevuto sia stata ricercata volutamente, allo scopo di avere l'alibi per seguire strade opposte e molto osteggiate dalla base del suo partito: “Volevamo fare un accordo a sinistra con Grillo, ma avete visto com'è andata. Ora non c'è altra alternativa che turarsi il naso e ricercare intese a tempo col centrodestra”. L'altra chiave di lettura, più in linea con l'etica della seconda Repubblica e che forse vedremo concretizzarsi nelle prossime settimane, potrebbe essere quella di un tentativo di far emergere nel gruppo senatoriale M5S le posizioni più favorevoli all'accordo col PD per preparare la strada ad una fuoriuscita di “responsabili” neo-scilipotiani che vadano a costituire un raggruppamento autonomo per sostenere organicamente e stabilmente di un governo PD-SEL. Di queste tre ipotesi, non so quale sia la più preoccupante.
Su un piano più sostanziale, in merito ad un possibile accordo tra PD-SEL e il M5S riesce difficile convincersi che un governo del genere possa dar vita ad una azione concorde ed organica. Inoltre sfugge a molti che questa soluzione incoronerebbe di nuovo Silvio Berlusconi come Capo Unico dell'Opposizione e ne farebbe il probabile vincitore al prossimo turno (ha quasi vinto questa volta... ed è tutto dire). Vi sono quattro o cinque argomenti sui quali i programmi dei due schieramenti possono trovare conciliazione, ma la situazione attuale richiede azioni incisive di largo spettro. Si immagina, per esempio, quale legge finanziaria 2014 potrebbe scaturire tra qualche mese da un accordo PD-M5S? Per questo penso che sia preferibile una soluzione diversa. Ad esempio un governo appoggiato da centrosinistra e centrodestra, con Monti agli Esteri o all'Economia e altri ministri (volti nuovi) del PD, del PDL, montiani - e anche stellati se accetteranno, ma sarà difficile. Un governo di questo genere, anche se necessariamente temporaneo, rassicurerebbe i mercati ma dovrebbe affrontare con decisione la grave emergenza sociale, se necessario anche con occasionali maggioranze più ristrette. Nel frattempo, in previsione di nuove elezioni nel 2014 in abbinamento alle europee (accostamento non casuale), si potrebbe fare una decente legge elettorale ed avviare una radicale riforma dell'offerta politica che abbandoni i veleni del berlusconismo-antiberlusconismo, che hanno nascosto le trasversali incapacità, per giungere ad uno schieramento laburista e ad uno liberal-conservatore depurati entrambi dagli estremismi radicali – rispettabili anch'essi, ed in qualche caso preziosi per la democrazia, ma da tenere distinti – che oggi condizionano molti elettori nella scelta tra i nostri ormai impresentabili due poli, zavorrati da tutto e dal contrario di tutto per la ricerca del fatidico premio di maggioranza che, come si è visto, non garantisce certo la governabilità, e pur tuttavia riesce a sacrificare così duramente il principio di rappresentatività democratica da assegnare 340 seggi alla Camera su 630 ad una coalizione che ha appena il 29,5% del consenso elettorale.

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