mercoledì 3 aprile 2013

Bersani, la botte piena e la moglie ubriaca.


E' difficile comprendere Bersani. 
Se trova l'accordo col M5S avrà al Senato una maggioranza con una quindicina di voti di margine e potrà governare (sia pure con i "demagoghi, populisti, euroscettici" contro i quali aveva tuonato assieme a Monti in campagna elettorale). Ma il M5S è ormai un mese che gli fa le pernacchie e prima o poi lo denuncerà per stalking. Comunque, se pensa di farcela a convincere Grillo si dia da fare, e auguri. 
Bersani non può però pensare che un Presidente della Repubblica serio lo mandi di fronte alle camere fino a che permanga la fondata previsione che la fiducia non la ottenga, viste le dichiarazioni dei rappresentanti dei gruppi parlamentari.  Vorrebbe dire mettere su un governo che, con oggettiva probabilità,  non otterrà la fiducia (se non sottobanco), ma che ciò nonostante - senza aver mai avuto la fiducia di nessuno - resterebbe in carica, sia pure per gli affari correnti (e gestirebbe le prossime elezioni anticipate...). Un governo che tra l'altro rappresenterebbe appena il 29% degli elettori (ed oggi forse anche meno, visti gli ultimi sondaggi di Ballarò), che quindi non rappresenterebbe il restante 71% del Paese  e che si farebbe forte solo del bottino incassato grazie alla legge-truffa (peraltro insufficiente al Senato, ma il premio c'è stato anche lì: 123 senatori su 315 col 31%). 
L'ipotesi voluta da Bersani è costituzionalmente molto dubbia. E' vero che nessun Presidente della Repubblica può prevedere  con certezza se un governo avrà o non avrà la fiducia. Ma se quello che gli riferiscono i rappresentanti dei gruppi parlamentari esclude che una maggioranza possa esservi, nominare comunque un governo e farlo presentare al Parlamento sarebbe una mossa ai limiti della Costituzione, anche se con qualche precedente nella prima Repubblica: Fanfani nel 1987; Tambroni nel 1960 con la conseguenza dei gravi moti di piazza a Genova organizzati dal PCI; a ben vedere lo stesso Berlusconi nel 1994, quando sulla carta gli sarebbe mancato un voto al Senato - ma oggi a Bersani ne mancano 37. Se una tale prassi fosse ritenuta ammissibile, un Presidente "disinvolto" potrebbe mettere su un qualsiasi governo a suo piacimento, farlo presentare alle Camere, farlo bocciare: resterebbe comunque in carica al posto del precedente, sia pure solo per gli affari correnti (che non sono pochi, né di scarsa importanza). Non per niente il saggio Napolitano si è rifiutato di mandare Bersani a cercare la maggioranza al buio di fronte al Parlamento.  Gli mancano 37 voti, non uno o due.
Resta il dubbio che, stando così le cose, in carica per gli affari correnti rimane un governo che non ha legami col rinnovato Parlamento ed il cui leader ha conseguito un risultato elettorale ancor più insoddisfacente di Bersani. Tuttavia l'operatività del governo Monti ha una sua legittimità costituzionale: è un governo che è entrato nel pieno dei poteri avendo avuto la fiducia, che si è dimesso (peraltro senza essere stato sfiduciato), che ha gestito le elezioni perché la Costituzione  così prevede, che è ancora in carica solo perché non c'è nessun altro governo che abbia presentato i requisiti per ottenere la nomina e per potersi presentare alle Camere nel rispetto della Costituzione (e cioè sulla prospettiva fondata  di ottenere la fiducia).  E' molto più coerente con l'impalcatura costituzionale il perdurare del governo Monti piuttosto che la sua sostituzione con un governo Bersani, almeno fintanto che, per quest'ultimo, di prospettiva fondata ci sia solo quella di non poter ottenere la fiducia di entrambe le Camere. E' normale che dopo la fine di una legislatura rimanga in carica il governo precedente per l'ordinaria amministrazione, anche se espressione del precedente Parlamento: è l'assetto previsto dal nostro ordinamento costituzionale. Meno normale è che si passi da un governo a poteri "affievoliti" ad un altro governo con poteri "affievoliti" che nasca solo dalla decisione avventurosa di un Presidente della Repubblica che nomini un governo nella consapevolezza che la fiducia non sarà ottenuta perché così è emerso da ripetute consultazioni con i gruppi parlamentari.    
Cosa direbbe oggi Bersani se, con gli stessi risultati del 24-25 febbraio, ma ribaltati, Berlusconi pretendesse di essere mandato alle Camere in forza - grazie alla legge elettorale - della sua maggioranza assoluta alla Camera e dei sui 123 senatori su 315, sapendo che se la fiducia non la ottenesse, rimarrebbe in carica per gli affari correnti e gestirebbe, lui, le prossime elezioni anticipate? Domanda cattiva, ma con onestà bisogna porsela. Sappiamo cosa direbbe Bersani in questo caso, che è ipotetico ma mica tanto lontano dalla realtà (sarebbe bastato che la Sudtiroler Volkspartei, col suo 0,43%, non si fosse alleata in coalizione col centrosinistra, ma avesse corso da sola: il centrodestra sarebbe rimasto  al suo 29,18% ma il centrosinistra sarebbe sceso al 29,12%; Berlusconi avrebbe oggi la maggioranza assoluta della Camera e quella relativa al Senato, proprio come oggi ce l'ha  Bersani grazie al partito di lingua tedesca dell'Alto Adige).
E' vero che il centrodestra non ha titolo per protestare, perché la legge truffa, a suo tempo, se l'è voluta e se l'è votata pensando di fregare il centrosinistra. Ma i cittadini normali, invece, ce l'hanno eccome il diritto di protestare per una legge che assegna 340 seggi alla Camera su 630 a chi ottenga anche un solo voto più degli altri; anche a chi "vince" solo col 10%, se il secondo arrivato ha il 9,9%.  E peraltro questa legge se la son tenuti tutti stretta, Bersani compreso, che oggi ne è il maggior beneficiario anche se si lamenta di essa (avrebbe anzi desiderato un effetto truffaldino maggiore al Senato; quello della Camera invece gli va bene). 
Stranamente oggi Bersani, secondo alcune notizie di stampa, reclama che i voti del PD non possono valere meno degli altri voti. Si sta evidentemente perdendo il senso della realtà delle cose: in base all'attuale legge elettorale, i voti che ha ottenuto il PD valgono - tradotti in seggi - circa il 40% in più dei voti degli altri. Se neppure così si riesce ad avere la possibilità di governare, bisogna farsi tutt'altro tipo di domande, possibilmente davanti ad uno specchio. 
Lì, di fronte a quello specchio, occorrerebbe chiedersi prima di tutto come sia stato possibile non stravincere elezioni come le ultime, contro un avversario al centro di vicende disgustose, braccato dai pubblici ministeri di mezza Italia, deriso dal consesso internazionale, reduce da un'esperienza di governo disastrosa. Se non si riesce a vincere chiaramente neppure in queste condizioni, allora quando? Però questa domanda si preferisce non porsela, perché se ne conosce già la risposta e la si teme. Ma se si continua a indicare la causa solo nella malvagità del nemico, o nella idiozia dei nostri concittadini elettori che lo votano, o nella loro personale disonestà e complicità, come si è fatto in questi ultimi venti anni, i risultati continueranno ad essere quelli che, appunto, si sono visti negli ultimi venti anni. Forse è il momento di chiedersi se per caso non ci sia qualcosa in noi, che non va. Ma l'attuale classe dirigente al potere nel PD non nutre il minimo dubbio al riguardo, e vuol governare per forza. E allora continui così.
Bersani accusa poi Berlusconi di ostacolare la formazione di un governo di centrosinistra. Quando si attacca Berlusconi, si val sul sicuro su tutti i fronti, tranne che su uno: tranne appunto il fronte sul quale ora si impegna Bersani. Secondo quest'ultimo, quali sarebbero le responsabilità del centrodestra se egli non riesce a fare un governo? Bersani vuole una cosa impossibile: che il PDL stia all'opposizione, ma che gli consenta di avere la fiducia al Senato. E come si fa? Se si dà o si consente la fiducia, non si è - per forza di cose - all'opposizione. E se si sta all'opposizione, vuol dire che non si dà né si consente, neppure con qualche fantasiosa forma di desistenza, la fiducia al governo al quale ci si oppone. E' lapalissiano.  Vuole forse, Bersani, che il PDL proceda all'espulsione di una quarantina di propri senatori - tanti gliene servono - e che questi poi autonomamente decidano di aderire al gruppo del PD? Onestamente: cosa dovrebbe fare Berlusconi per accontentare Bersani, che vuole avere la fiducia nonostante il diniego di Grillo, ma contemporaneamente vuole anche tenere il centrodestra all'opposizione? Se la botte è piena, la moglie non è ubriaca; se la moglie si è ubriacata, la botte non è più piena. A meno che non si pensi che la moglie possa ubriacarsi col vino degli altri, ma difficilmente in politica ciò può accadere gratuitamente. 
L'unica strada di Bersani è quella di convincere Grillo, ma se non ci riesce non può obbligarlo. Se ne faccia una ragione, e il PD trovi altre soluzioni e altri leader. 

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