sabato 13 aprile 2013

I dubbi sulla legge elettorale


Nella sua relazione annuale, il Presidente della Corte Costituzionale ha espresso il dubbio che l'attuale legge elettorale, in vigore fin dalle elezioni del 2006,  possa presentare aspetti di incostituzionalità, ponendo l'accento soprattutto sul premio di maggioranza che essa concede alla coalizione che ottenga più voti, senza alcuna soglia minima di consenso. In effetti, se oggi una coalizione "arrivasse prima" col il 10%  solo perché gli altri competitori fossero estremamente frammentati, ed il secondo arrivato avesse  il 9,9%, quella coalizione, col suo 10%, avrebbe 345 seggi su 630 alla Camera (come se avesse avuto il 55%) ed una buona maggioranza relativa al Senato. Così è successo alle ultime elezioni alla coalizione di centrosinistra che si è affermata col 29,6% contro il 29,2% del secondo arrivato.
A ben vedere, che la legge elettorale attuale sia anticostituzionale, più che un sospetto è una certezza. Infatti se un correttivo premiante per chi si afferma alle elezioni può essere ammissibile in relazione all'esigenza di assicurare al paese una governabilità sufficientemente stabile, non ci si può però spingere oltre i limiti della ragionevolezza nell'alterare il principio democratico della rappresentatività, come accade con la legge attuale che consegna il potere - tutto il potere, comprese tutte le cariche istituzionali - a forze politiche largamente minoritarie rispetto totale degli elettori. Nelle due precedenti elezioni, questo effetto era risultato meno evidente, perché sia Prodi nel 2006 sia Berlusconi nel 2008 beneficiarono del premio andando comunque vicinissimi - l'uno e l'altro - al 50% dei voti. Il caso attuale di Bersani e del centrosinistra fa invece accendere la spia, dato che egli beneficia dello stesso risultato (un po' attenuato al Senato, ma straripante alla Camera con una larga maggioranza assoluta) con meno del 30% dei voti degli elettori.  
Un premio di maggioranza così ampio e concesso al primo arrivato indipendentemente dal livello di consenso,  fa ricordare con nostalgia la legge-truffa del 1953 contro la quale il PCI riempì le piazze: essa dava un piccolo premio in seggi alla coalizione che avesse ottenuto più del 50% dei voti (e che avesse, cioè, già vinto da sola grazie ai voti degli elettori).
Il  vulnus democratico di questa legge si sostanzia oggi, paradigmaticamente, con l'elezione del Presidente della Repubblica - che rappresenta l'unità nazionale ai sensi della Costituzione - nella quale alla coalizione "prima arrivata" alle recenti elezioni, col 29,6%, mancano solo pochi voti, facilmente reperibili in qualche modo, per eleggersi - se vuole - un proprio Presidente a partire dal terzo scrutinio, così come ha già fatto per le Presidenze della Camera e del Senato. E questo Presidente, frutto di un Parlamento che tra l'altro avrà presumibilmente breve vita (forse l'unico atto significativo sarà proprio quello di eleggerlo...) resterà in carica per i prossimi sette anni, nonostante l'esito delle future consultazioni elettorali. Uno scippo?

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