giovedì 13 giugno 2013

"La trappola - Il vero volto del maggioritario" di Luciano Canfora (Ed. Sellerio)

Già in passato Luciano Canfora, stimato filologo e apprezzato scrittore, ha pubblicato opere su temi politici con un taglio molto diverso da quello che siamo soliti ritrovare in questo tipo di trattazioni.
Il suo breve libretto appena uscito tocca uno dei punti critici dell'attuale dibattito politico, quello della legge elettorale.
“La trappola” è un manifesto a favore del sistema proporzionale nel quale l'autore - forse perché non è un costituzionalista di mestiere ma un uomo intelligente e profondo - espone pochi, chiari e lucidissimi concetti facendo diventare la materia di una semplicità sconcertante: un fatto nuovo, abituati come siamo alle faticose e contorte elucubrazioni dei paludati esperti.
L'analisi parte con alcuni commenti che traggono facile spunto dalle recenti elezioni politiche, nelle quali, come osserva l'autore, i due principali schieramenti hanno ottenuto un risultato di sostanziale parità: il 29,2% (centrodestra) contro il 29,5% (centrosinistra). Tuttavia la legge elettorale vigente ha dato al centrosinistra quasi il triplo dei deputati rispetto all'altro schieramento: 340 contro 124. Questo, dice Canfora “... è stato il più grave scandalo mai verificatosi nella storia politica italiana, più scandaloso persino del risultato ottenuto la listone mussoliniano (e associati), grazie alla legge Acerbo, nelle elezioni politiche dell'aprile 1924.” L'affondo diviene quasi impietoso quando si rileva che a beneficiare di questa “mostruosa sconfessione del principio base del suffragio universale (un uomo/un voto) e a comportarsi, tragicomicamente, come se davvero avesse vinto le elezioni”, è la forza politica che trae la propria origine dai partiti (PCI e PSI) che a suo tempo avevano condotto una durissima battaglia, in Parlamento e nelle piazze, contro la “legge truffa” del 1953, la quale dava in premio il 64% dei seggi alla coalizione che avesse ottenuto la maggioranza assoluta dei voti (che cioè, in ogni caso, avesse comunque, anche se di stretta misura, già vinto da sola). All'epoca la coalizione centrista (DC-PRI-PLI-PSDI) ottenne il 49,4% e le mancarono pochissimi voti per conseguire il premio che oggi - con la nuova legge - è stato centrato dalla coalizione di centrosinistra col 29,5%, anche se ciò non è stato sufficiente per prendere il 100% del potere poiché gli effetti distorsivi della legge elettorale, pur essendo anche lì presenti, sono più attenuati per l'elezione del Senato.  

Dopo l'interessante e poco nota citazione della procedura non limpidissima che in sede costituente portò a “perdere” nella stesura definitiva della Costituzione l'emendamento che includeva la legge elettorale tra le materie non assoggettabili al referendum, l'autore passa a trattare della legge del 1953, conosciuta come legge truffa, con alcune osservazioni sulle motivazioni che spinsero De Gasperi e Scelba ad avviarsi su questa strada: le pressioni americane in senso anticomunista, anche verso altri governi europei, spingevano addirittura perché il PCI venisse messo fuori legge; il compromesso trovato fu quello di una legge elettorale che lo rendesse comunque inoffensivo.

Il testo riporta poi un ampio stralcio dell'intervento di Palmiro Togliatti alla Camera l'8 dicembre del 1952 in sede di discussione della legge elettorale premiante: una dissertazione dotta, anche se a volte pedante, nella quale sono presenti alcuni degli spunti dai quali Canfora poi svilupperà il suo attuale pensiero (“Qui” dice Togliatti “è violato ... l'art. 48, che sancisce l'uguaglianza del voto dei cittadini”).

Secondo Canfora, il passaggio della sinistra (schieramento al quale anch'egli è affine) da una difesa strenua del proporzionalismo puro, com'era nella sua tradizione, ad ipotesi maggioritarie e premianti va datata alla fine del “socialismo reale” in Europa ed al conseguente cambio di cultura (e di denominazioni) del vecchio PCI, determinato dall'emergere di forze di destra nuove e agguerrite, dalla sfiducia nella propria capacità di attrarre consensi e dall'illusorio tentativo di “vincere al tavolo da gioco la battaglia elettorale”. Qui arriva la prima perla del pensiero di Canfora, sul presupposto che gli schieramenti della seconda repubblica non sono più due soli, ma sono diventati tre o quattro: “In un Paese a partiti multipli il sistema maggioritario porta non alla governabilità ma al disastro ... all'omogeneizzante accordo di 'larghe intese' si approda comunque” - lo si è visto col fallimento di Bersani e col governo Letta - “ma vi si giunge con una rappresentanza delle componenti coinvolte falsata dalla capricciosa follia del meccanismo maggioritario.” Cioè: si è gettato alle ortiche il principio della uguaglianza del voto per una distorsione grave della rappresentatività (il triplo di seggi in presenza di un pareggio) nel nome di una governabilità che poi si è potuta garantire solo mettendo insieme i due pareggianti: allora tanto valeva che ciascuno avesse in Parlamento i seggi corrispondenti al consenso ottenuto.

Qui Canfora inizia un'incalzante sequenza di considerazioni: il sistema elettorale proporzionale è l'unico strumento che assicuri il rispetto del principio dell'universalità e dell'uguaglianza del voto; esso costringe le forze politiche alla ricerca di un compromesso, che nelle società complesse è l'unica alternativa al conflitto ed è quindi necessario. Oggi non è più molto rilevante l'elemento della contrapposizione ideologica, poiché ormai la sinistra ha rinunziato a rappresentare un'alternativa di sistema: il rifiuto di governare senza contaminarsi con gli altri non ha più giustificazione. Ricercare trucchi elettorali per governare da soli è solo prova di incapacità di far politica, è una isterica scorciatoia che copre debolezza e inettitudine.

La preferenza di Canfora va quindi ad un sistema elettorale proporzionale, con l'eventuale correttivo di una soglia minima come in Germania. L'autore giunge a questa conclusione attraverso una serie di convergenti considerazioni: il principio che ogni cittadino ha diritto ad un voto che pesa come quello degli altri (e non per qualcuno 1,5 e per qualcun altro 0,5, come è accaduto nelle ultime elezioni); la constatazione che, in un sistema non bipolare, neppure la grave distorsione del premio di maggioranza, o degli effetti analoghi dei sistemi maggioritari a turno unico o a doppio turno, consente la governabilità ed essa è quindi – oltre che lesiva del principio rappresentativo – anche del tutto inutile e quindi sciocca. Le “larghe intese” che si vorrebbero evitare con trucchetti premianti, alla fine devono essere ricercate comunque: esse - nelle società complesse - sono spesso inevitabili e non devono ritenersi contraddittorie in riguardo ad una supposta diversità antropologica con l'avversario, perché oggi non si confrontano più opposte ed inconciliabili visioni del mondo, ma solo varianti della stessa visione. E quindi, se una parte ottiene la maggioranza senza trucchi e premi (col 50,1% dei voti di uguale peso degli elettori) governi pure da sola se vuole; altrimenti, se non può farlo, scenda a compromessi con altri, senza pretendere di imporre al 70% dei cittadini un programma di governo che ha avuto il consenso solo del 30%.






Alle considerazioni di Canfora se ne potrebbero anche aggiungere altre. Si sostiene dagli avversarti del proporzionale che i sistemi maggioritari o premianti favoriscono e rafforzano  la governabilità, che invece sarebbe minata - col proporzionale - dalla presenza di numerose  forze, piccole sì ma in grado di condizionare l'azione di quelle maggiori. Questo può essere vero in società coese e con scarso pluralismo di idee, dove  sono effettivamente due i blocchi che si fronteggiano e le "piccole forze" quasi non esistono nella società e quindi non possono neppure avere una rappresentanza parlamentare. In questi casi può anche essere accettabile che chi vince 50,1 conto 49,9 abbia qualche (qualche) seggio in più per non rendere precaria la vita di un governo che è comunque legittimo. In questi casi la forte coesione sociale si riverbera sull'organo rappresentativo e la governabilità soffre pochissimi rischi.  Ma in Paesi come l'Italia dove la società è contraddistinta da un esasperato pluralismo, spesso centrato su aspetti marginali ma puntigliosamente coltivati, un sistema premiante porta le forze più piccole ad alleanze interessate con quelle maggiori per lucrare insieme il premio di maggioranza salvo poi, una volta avuta la grazia, rivendicare la propria indipendenza per meglio perseguire i propri interessi di parte, e quindi ritorna il condizionamento che il maggioritario voleva evitare. Questo si verifica anche nel caso di maggioritario con collegi uninominale (a unico o doppio turno) poiché qui vi è spazio per le cosiddette "desistenze concordate", attraverso le quali le forze minori e quelle maggiori, che si sono alleate, concordano in quali collegi si presenta il candidato solo di un partito e in quali si presenta solo quello dell'altro, con impegno reciproco all'appoggio. In ogni caso, per avere la prova della inidoneità del maggioritario premiante ad assicurare la governabilità, basta pensare alle elezioni del 2008, quando la coalizione di centrodestra ottenne un larghissimo successo tale da costituire un esempio forse irripetibile di situazione di governabilità blindata. Ma dopo poco l'uscita di Fini fece la spia della finzione e l'Italia ha passato più di un anno con un governo traballante, puntellato in modo talora discutibile, il quale alla fine ha dovuto lasciare il campo al governo tecnico. 
Inoltre, in un Paese, come il nostro, di democrazia parlamentare nel quale il Presidente della Repubblica non è eletto direttamente dai cittadini, ma da un Parlamento allargato, ancor più scandalosa è una legge elettorale premiale e distorsiva che produce maggioranze parlamentari artificiose tali da consentire a chi abbia, col il 30% scarso del consenso nel paese, 504 grandi elettori su 1007 (la coalizione di centrosinistra c'è andata vicina: 496) così da potersi eleggere al quarto scrutinio un proprio Capo dello Stato che resti poi in carica per sette anni. Poteva accadere nell'aprile scorso con Prodi se non ci fossero stati i famosi 101 franchi tiratori e se solo lo avessero votato altri otto (tra grillini e montiani - e di questi ultimi pare che quattro lo abbiano anche fatto, cosicché i franchi tiratori sarebbero stati 105). Che quei 101 (o 105) siano da riabilitare? Sono stati forse, pur inconsapevoli, il braccio secolare della sacrosanta vendetta della democrazia e del principio costituzionale dell'uguaglianza del voto per tutti i cittadini contro l'attuale scandalosa legge elettorale? Ma su questo argomento Canfora non si è espresso, come non si è espresso sulla proposta di semipresidenzialismo, che va di pari passo col maggioritario - col quale sistema invece non è compatibile, come si è appena detto, un'elezione del Capo dello Stato da parte di un Parlamento dalla composizione artificiosamente alterata.  
Una nota finale: nelle novantotto pagine di Canfora la parola "Berlusconi" compare una sola volta.

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