martedì 24 giugno 2014

Il "nuovo Senato" fa tornare alla ribalta l'immunità parlamentare

La recente ipotesi di accordo sulla riforma del Senato ha riportato alla ribalta il tema della immunità parlamentare. 
L'immunità fu prevista dalla Costituzione per porre un argine alle iniziative giudiziarie ai danni di parlamentari scomodi per il potere, come era accaduto spesso durante il ventennio fascista.
L'immunità ha un senso quando vi sia una contaminazione reciproca tra il potere giudiziario e parti della politica.
L'immunità è invece un privilegio ingiustificato quando il potere giudiziario ha fama di indipendenza, tanto che solo pochi faziosi possano seriamente sostenere che un'azione penale contro un parlamentare sia originata da lotta politica.
A questi fini, che l'ordine giudiziario si atteggi nel primo o nel secondo modo non è solo un dato oggettivo, ma dipende dalla credibilità che esso si è meritato nell'opinione dei cittadini: questa credibilità, che ovviamente non può essere totale, deve essere comunque vasta e diffusa nelle varie componenti della società senza distinzione di appartenenza partitica.
Si potrebbe seriamente riflettere in quale situazione ci troviamo oggi, e poi decidere se l'immunità - purtroppo - serva oppure sia - per fortuna - un inaccettabile privilegio.
Peraltro la credibilità dell'ordine giudiziario può essere messa in dubbio non tanto dall'esercizio dell'azione penale, fondata, contro alcuni presunti colpevoli, quanto anche dall'omissione verso altri anch'essi fondatamente presunti colpevoli. Forse è questo il problema più attuale e spinoso: che vi sia cioè in Italia, per alcuni, una immunità parlamentare nascosta e sotterranea, che, proprio per questo, è difficile abolire per legge. 

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