domenica 20 settembre 2015

Da chi fuggono i migranti

Qualche settimana fa, rispondendo ad una lettrice su Italians del Corriere della Sera,  Beppe Severgnini, in tema di migranti, ha ricordato che tanti di loro fuggono dalla loro terra perché oppressi da dittatori, definiti "boia barbuti e baffuti capomastri."

Anche noi abbiamo avuto dei boia barbuti e baffuti come capomastri. Ne abbiamo subito le angherie, li abbiamo combattuti e alla fine – dopo aver versato sangue e lacrime - abbiamo fatto a tutti barba e baffi.

Se di fronte ai loro orchi sanguinari i nostri fratelli migranti fuggono, ogni speranza di progresso civile ed economico svanisce. I dittatori sanguinari non sono tali per mero sadismo, ma perché vogliono eliminare ogni sacca di resistenza al loro sfrenato potere. Quale migliore soluzione può esserci, per loro, della dispersione dei potenziali oppositori e resistenti?

Questo tipo di lotta e di emancipazione contro la sopraffazione, per il progresso della propria comunità, richiede indubbiamente un bagaglio culturale che in molti di quei popoli è ancora acerbo – mentre in alcuni di essi è addirittura più antico del nostro. Tuttavia, anche i popoli meno avanzati, oppressi per anni dal nostro colonialismo, hanno conquistato l'indipendenza ormai da più di mezzo secolo. Ancora poco, si dirà. Ma se si continua a fuggire, anziché combattere per il progresso civile ed economico della terra dove sono le nostre radici, la maturazione non arriverà mai: questo è proprio l'obbiettivo di quei boia barbuti.

Chi fugge disperato deve essere accolto; subito dopo si deve verificare la sincerità di quella disperazione; poi bisogna frugarsi in tasca per assicurare un temporaneo modo dignitoso di vivere a chi è arrivato qui con le tasche più vuote delle nostre.

Questa è la strada obbligata. Dobbiamo seguirla per umanità, ma non può essere accettata come la strada normale e definitiva, perché è la strada sbagliata - per tutti.

La strada giusta ciascuno deve tracciarsela col sacrificio, non fuggendo. Aiutare chi fugge è, per noi, un inderogabile atto di carità, ma la giusta soluzione per chi è oppresso dai dittatori o dalla fame è quella di restare e di combattere per il benessere e lo sviluppo della propria terra e della propria comunità. Soprattutto in questo è nostro dovere aiutarli.

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